Qualcuno ha paragonato la generazione dei “millennials” (per usare una categorizzazione molto di moda) a quella investita dalla II Guerra Mondiale per la portata del “drastico ridimensionamento” dell’utopia dell’infinitamente possibile che ha nutrito la cultura occidentale dalla fine degli anni 60 alla seconda metà degli anni 90.
“All’età vostra, noi…“ A chi non è mai capitato, almeno una volta nella vita di schivare il sermone “quelli che eravamo noi?” calato spesso dall’alto e senza esplicita richiesta?! Proviamo a ribaltare la Zolla e usiamo cinema, musica e arte per divertirci un po’.
Abbiamo citato “Un mondo a parte” di Riccardo Milani, parlando di Duilio, un ragazzo (anche bravo a scuola) che liberamente sceglie, alla maturità, di progettare una vita agricola nel suo paese di origine. Teniamolo a mollo.
Prendiamo un altro ragazzo: Antonio.
Antò, anche lui alla soglia dell’età adulta, è un giovane cittadino della Montesilvano (CH) di fine anni ’90 che resta aggrappato alla sottocultura punk per dare alla sua (e a quella di altri tre Antò) guerra, una colonna sonora degna del disprezzo che ha per la decadenza culturale del mondo in cui vive. Indovinate di chi è “La guerra degli Antò”? Di Riccardo Milani! (il libro da cui è tratto, invece, è di Silvia Ballestra).
Bene: due protagonisti, due “momenti” storici diversi, due periferie diverse di un’unica, placida, pachidermica “provincia” che sonnecchia, apparentemente, con i piedi al mare e la testa sull’Appennino. Provincia lontana dalle “luci della città” e in un caso, quello di Montesilvano, preda di speculatori immobiliari pronti a massimizzare il profitto a scapito della collettività, nell’altro, quello della Marsica, abbandonata dai suoi stessi abitanti. In comune Duilio e Antonio hanno l’età e la determinazione a vivere la propria vita, con alcuni distinguo fondamentali.
E il più evidente di questi “distinguo”, forse, può essere sintetizzato con un altro “confronto” artistico intergenerazionale: quello tra il “NO FUTURE” di God save the queen e il NO FUTURE di Banksy
Il “no future” dei Sex Pistols (fenomeno musicale che ha contribuito al contempo allo sviluppo e al decadimento della cultura Punk, non a caso nel film presidiano i ben più dotati ed impegnati DEAD KENNEDYS di “Holiday in Cambodia”) in cui il potere di immaginare e di immaginarsi sembra essere prerogativa delle classi dominanti, con la conseguenza di innescare rabbia non più organizzata e disciplinata ma individualista e fine a se stessa (che raggiunge il suo clou proprio negli anni 90 con – ad esempio – gli SMASHING PUMPKINS di Bullet with butterfly wings – “…despite all my rage i’m still just a rat in the cage…”), figlia di un senso di impotenza ed alienazione che trasforma gli adolescenti (Smells like teen spirit – NIRVANA) in carne da mercato in perenne oscillazione tra disfattismo e protesta sociale (RAGE AGAINST THE MACHINE – Bulls on parade), con rigurgiti di anticonformismo stile BEASTIE BOYS.
Il no future di Banksy in qualche modo sembra marcare il passo, aprire un abisso, un salto generazionale con il senso di impotente frustrazione. Ribalta il piano e trasforma il muro di una casa privata in un messaggio politico, in una dinamica contraria a quella che ha visto l’arte impreziosire salotti e residenze mentre assecondava la disgregazione sociale.
Nell’opera di Banksy c’è forza, rivendicazione, una pura, genuina, bambinesca arroganza. L’individualismo dilaga, come nei 90 ma sembra ci sia un barlume, una luce. Se il bambino lascia volare il suo palloncino il messaggio è N FUTURE…un futuro “n” uno dei futuri possibili. E la negazione (prima percepita top-down) ora può cadere o restare e la scelta è nelle manine giocose delle nuove generazioni.
Il FUTURO c’è…è quel “NO” che è appeso ad un filo… ricordiamolo spesso.
Molto dipende dal nostro coraggio, oltre che dalla nostra rabbia. Ce lo insegna Duilio