Cooperare: dal latino cooperari, “lavorare con”, “lavorare insieme”. Cooperare, per l’appunto. Occuparsi di qualcosa insieme a qualcuno. Il lavoro nella sua dimensione collettiva. Che è anche la sua dimensione sociale, dunque. Insomma, il lavoro nella sua dimensione più importante: il solo strumento, la sola attività che ha l’uomo per creare progresso. Cooperari quindi progredi, andare avanti e farlo insieme. Farlo come comunità, allora. Comunità: dal latino communitas che, attenzione, non è la koiné, in cui si vive, a cui si appartiene, indistintamente da tutti gli altri. Nella comunità, infatti, ciascuno esiste in quanto dà qualcosa ad essa: il proprio munus. Che è sì l’ufficio, il dovere, il servizio, ma è anche il dono, il regalo. È il lavoro che si dona, il personale contributo alla collettività.
Sono questi i principi che ispirarono i fondatori della prima, vera e propria cooperativa della storia, mossi dalla concretissima esigenza di dare un sostentamento alle proprie famiglie: la cooperativa dei Probi Pionieri di Rochdale. Un gruppo di tessitori poveri e per lo più disoccupati. Fu così che ‒ in un’Inghilterra in cui il salario medio degli operai tessili era di sei scellini a settimana, c’era un altissimo tasso di mortalità infantile e si lavorava, bambini in età scolare inclusi, anche diciotto ore al giorno ‒ il 21 dicembre 1844 la Rochdale Society of Equitable Pioneers aprì il suo magazzino a Toad Lane, il «Vicolo del Rospo». La prima cooperativa della storia, quindi, fu una cooperativa di consumo che aveva lo scopo di fornire beni di prima necessità ai suoi associati, dargli un tetto e creare e organizzare lavoro perseguendo i valori della solidarietà e del mutualismo. Una storia, questa, destinata a cambiare per sempre gli aspetti fondamentali delle nostre economie: non solo consumo, ma anche produzione e credito.
«Capì questo: che le associazioni rendono l’uomo più forte e mettono in risalto le doti migliori delle singole persone, e dànno la gioia che raramente s’ha restando per proprio conto, di vedere quanta gente c’è onesta e brava e capace e per cui vale la pena di volere cose buone (mentre vivendo per proprio conto capita più spesso il contrario, di vedere l’altra faccia della gente, quella per cui bisogna tener sempre la mano alla guardia della spada)».
[Italo Calvino, Il barone rampante]