5 Unità di ricerca geograficamente distribuite tra area alpina e appenninica e una grossa gatta da pelare: che fare con le aree interne del Paese? Soggette a spopolamento e con difficoltà strutturali, le zone interne – come d’altronde quelle genericamente rurali e non produttivamente specializzate – sono, forse, ostaggio anche di letture superficiali e di narrazioni etero-prodotte che ne appiattiscono valori sociali e senso di comunità a favore di fragili tipicità e identità retoriche.
Con il PRIN (Progetto di Interesse Nazionale) “MIND”, una cordata di atenei, coordinati dal Prof. Pascolini dell’Università di Udine stanno osservando da vicino “le montagne nella montagna”, per contestualizzare le innumerevoli sfumature e le dinamiche in atto nelle zone interne del Paese. Al progetto hanno collaborato, tra gli altri, alcuni GAL aderenti alla Scuola Italiana di Sviluppo Locale: GAL Maiella Verde – (ABRUZZO) e GAL Terre di Pre.Gio. (LAZIO).
Al di là dei risultati che già emergono (il progetto è in corso di implementazione) l’aspetto che colpisce maggiormente è proprio quello del “metodo” della ricerca azione e l’occasione di confronto e reciproco giovamento derivante dal contatto tra territori e competenze. Il professor Pascolini, docente ordinario di Geografia e Presidente di “RETE MONTAGNA” Associazione internazionale di Centri di studio sulla Montagna (https://alpinenetwork.org/), è intervenuto nella 3 giorni “UN SEME PER IL FUTURO” tenutasi nel territorio dei Monti Prenestini e promossa dal GAL Terre di Pre.gio e dal GAL Anius Pregius per presentare i primi esiti del lavoro ed in uno dei passaggi effettuati chiarisce che “attraverso la lettura e la conoscenza del territorio, bisogna che anche le università vadano nella direzione di formare competenze che possono essere poi spese sui territori”. Il professore prosegue sottolineando, in merito al ruolo dei GAL e degli strumenti di programmazione che “è necessario creare competenze anche su due passaggi fondamentali spesso disattesi da parte di chi fa sviluppo e progettualità: il monitoraggio e la valutazione”
Dalle argomentazioni del Prof Pascolini un altro dato emerge in modo chiaro (che verrà confermato nella tre giorni): i GAL si pongono come potenziali interlocutori privilegiati in questi processi di avvicinamento e “finalizzazione” delle attività di ricerca, non solo per la loro natura “intermedia” ma anche per la valorizzazione del capitale umano, la propagazione delle competenze e la collocazione di nuove forze professionali specializzate.
METTERE IN DISCUSSIONE NARRAZIONI OBSOLETE ED ETEROIMPOSTE DELLE ZONE RURALI
Se per favorire lo sviluppo locale guidato dalle comunità deve necessariamente crollare, dunque, il muro che separa ricerca e territori, la sfida non finisce qui. La propagazione e il radicamento delle competenze necessarie (anche quelle collettive) sono elementi fortemente condizionati dalle NARRAZIONI che delle comunità e dei territori vengono effettuate. Spesso non si conosce davvero l’oggetto di indagine “teorica” e non si comprendono gli elementi agenti in profondità che modificano gli assetti socio economici delle zone rurali. “I dati non bastano”, sintetizza la prof.ssa Meini dell’Università del Molise: “studiare queste aree significa metterci in gioco per primi da studiosi. I dati che abbiamo a disposizione non sono sufficienti a cogliere la realtà complessa che questi territori nascondono” e prosegue la prof. Ferrario: “L’inversione della narrazione che altri fanno di noi è importante per le ricadute che l’operazione culturale può avere: cercare altri sensi per i territori montani ha portato non solo a riflettere astrattamente sull’inopportunità di ragionare sempre ed esclusivamente in termini polarizzanti (centro-margine) ma anche concretamente a riflettere sulle potenzialità reali di sviluppo economico a partire dal ruolo del capitale umano”